La povertà non è ineluttabile
Questo dicembre chi vive a Roma ha trovato uno spettacolo diverso dal solito sotto il tradizionale albero di Natale in piazza Venezia: intorno alle decorazioni natalizie, sotto forma di grandi pacchi regalo, l’amministrazione Capitolina aveva infatti distribuito i vari Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, parte dell’Agenda dell’Onu che fino al 2030 gli Stati dovranno seguire se intendono garantire un futuro di sviluppo al pianeta.
Una scelta significativa, che ci ricorda che ad aprire l’elenco sono la “Lotta alla povertà assoluta” e alla “Malnutrizione,” richiamate al punto 8 dalla “Promozione di una crescita duratura inclusiva e sostenibile” e al punto 10 dalla “Riduzione delle disuguaglianze tra paesi”.
Nonostante il numero di persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno si sia dimezzato tra il 1990 e il 2015, sono ancora moltissimi coloro in povertà assoluta: persone che non possono tutelare i figli né educarli, che hanno un’alimentazione carente o incorrono in gravi rischi per la propria salute, che non accedono ai diritti civili e politici. Un’esistenza limitata la loro, considerato che la povertà cronica può intrappolare intere generazioni e comunità in una spirale che si autoriproduce.
Povertà significa carenze nutrizionali che pregiudicano la crescita e la salute. Significa malaria, tubercolosi, malattie infettive che colpiscono con maggiore facilità chi ha basse difese immunitarie a causa della scarsa alimentazione.
La geografia della povertà e della fame ci spinge a guardare verso continente africano, sudamericano e subcontinente indiano. Stati politicamente fragili, economie rurali, regioni lacerate da instabilità politica e conflitti intestini.
Un destino immutabile?
Tuttavia, nel panorama del 21° secolo la povertà non rappresenta un destino immutabile, e la fame è una piaga che può essere eliminata se combattiamo un sistema sbilanciato di distribuzione delle risorse. L’accesso di un miliardo e mezzo di poverissimi a condizioni di vita migliori porta, infatti, con sé il problema della sostenibilità dello sviluppo. Come aumentiamo la produzione di risorse alimentari sufficienti a sfamare tutti gli abitanti della Terra senza scontrarci con la limitata disponibilità di risorse naturali?
La strada passa necessariamente attraverso investimenti nell’attività agricola delle aree rurali dei paesi poveri. È un fatto che i paesi che investono di più per migliorare la produttività agricola e le infrastrutture di base riescano a debellare prima la fame. Ed è un fatto che nei progetti di cooperazione in cui vengono avviate attività produttive si creano tessuti microeconomici in grado di generare benessere anche laddove la povertà sembrava ineliminabile. È quello che ad esempio Più Vita ha fatto dal 2004 nel Nicaragua rurale, dove da sempre sostiene i coltivatori allo scopo di offrire alla comunità un’alimentazione variegata tramite un’attività che al contempo generi reddito per la popolazione attraverso la vendita delle eccedenze.
Se la FAO stima che vi è capacità globale per fornire il cibo necessario alla popolazione mondiale, la nostra generazione può realisticamente proporsi l’obiettivo di sradicare fame e povertà estrema: impegnarsi o non impegnarsi a farlo è l’unica domanda da porsi.