Un anno di crisi in Nicaragua
Il 18 aprile 2018 iniziò una delle più lunghe crisi sociopolitiche del Nicaragua degli ultimi anni.
Una ribellione contro il governo Ortega che ha provocato centinaia di morti, arrestati e decine di migliaia esiliati, senza che si percepisca tuttavia una possibile soluzione.
La causa scatenante fu una impopolare riforma del sistema pensionistico. Le proteste e le manifestazioni si convertirono presto nello specchio del malessere sociale del popolo nicaraguense, con gli studenti universitari in prima fila pronti a richiedere le dimissioni del presidente Ortega e di sua moglie e vicepresidente Rosario Murillo.
La dura repressione delle forze dell’ordine e di gruppi militari vicini al governo fu implacabile: con oltre 500 morti e, secondo Amnesty International, numerose “esecuzioni extragiudiziali” avvenute con il consenso del presidente Ortega.
La città di Masaya è il simbolo della resistenza, replicata poi in molte altre città del paese. Una resistenza schiacciata senza indugi dall’operazione di pulizia lanciata dal governo. Le sanzioni e le numerose condanne internazionali non hanno però sbloccato la situazione. Anche le negoziazioni, con la comunità cattolica prima e con le commissioni internazionali poi, sono risultate infruttuose.
Alla vigilia di questo triste anniversario, martedì fu organizzata una nuova manifestazione, proibita dalle autorità, che terminò con più di sessanta detenuti – dato negato dal governo ma sostenuto dall’opposizione. Gli Stati Uniti hanno annunciato nuove sanzioni contro il Nicaragua, mentre la crisi segue stagnante in una via apparentemente senza uscita.