Violenza sulle donne, una battaglia da vincere insieme
Era il 25 novembre 1960 e tre sorelle che si battevano per i diritti civili in quella che oggi è la Repubblica Dominicana venivano torturate e uccise su ordine del dittatore Trujillo. Patria, Minerva e María Teresa Mirabal uscivano di casa per fare visita ai propri mariti, che si trovavano in carcere in quanto dissidenti politici: non vi fecero mai ritorno.
Vent’anni dopo, a Bogotà, uno storico convegno femminista scelse la data della loro morte per celebrare la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Le Nazioni Unite sancirono ufficialmente la ricorrenza nel 1999, con una decisione dell’Assemblea Generale: un giorno per ricordare le tre sorelle, e insieme a loro tutte le vittime che quotidianamente, nel mondo, subiscono violenza di genere.
Nei paesi in cui lavoriamo, e in particolare proprio nella Repubblica Dominicana delle sorelle Mirabal, la violenza sulle donne è ancora oggi un’emergenza sociale.
Sole, spiagge, mare, è la faccia dell’isola di Hispaniola che tutti conoscono. Ma se giriamo la medaglia scopriamo che la Repubblica Dominicana è anche al primo posto, assieme a Messico e Guatemala, per l’indice di violenza contro le donne. Scopriamo un paese dove ogni due giorni una donna muore per mano di un partner, spesso sotto i colpi di un machete, aspetto specifico dell’abuso domestico locale.
Solo il 4% delle denunce, che includono anche migliaia di stupri su minorenni, approdano a un tribunale: la maggior pare dei casi non vengono riportati alla polizia, cosa che rende difficile fare una stima reale della situazione. Le donne ritirano le loro denunce sotto la spinta delle minacce dei loro aggressori, o della frustrazione che provano nel non vedere avanzamenti significativi da parte la giustizia. Nonostante il Paese riconosca la legislazione internazionale sui diritti umani, la maggioranza tra giudici e forze dell’ordine condivide i pregiudizi e gli stereotipi più devastanti della violenza di genere.
Le donne decise a denunciare quanto subito sono costrette a fronteggiare una molteplicità di ostacoli, in famiglia, nella comunità, nei rapporti con la polizia e il sistema giudiziario. A ogni livello di scontro sono obbligate a fare un passo indietro e ricadono nel ciclo della violenza, se sopravvivono. Per queste donne, spesso giovanissime, spesso già madri, costrette ad abbandonare la scuola da bambine, la relazione con un uomo rappresenta spesso una speranza (vana) di emancipazione. Per fuggire necessitano di sostegno psicologico e vicinanza: è quello che cerchiamo di fare con il programma di Estimulacion temprana, in cui offriamo consulenza medica e psicologica gratuita alle giovani madri in difficoltà, sostenendole nel difficilissimo percorso di superamento del trauma generato dalla violenza. In media, ci vogliono cinque anni a una vittima di violenza domestica per riconoscere di essere tale e fino a quindici per uscirne.
Ed è quello che cerchiamo di fare con le giornate di sensibilizzazione contro i matrimoni precoci: perché appellarsi alla legge contro comportamenti violenti o abusivi non è sufficiente se non si educano bambini, bambine e adolescenti a modificare i loro comportamenti, spezzando una catena interminabile che può essere interrotta solo attraverso l’orientamento e l’educazione.